martedì 3 aprile 2012

A tu per tu con… Simone Santini

Intervista a Simone Santini a cura di Lorenzo Scala (3 marzo 2012)




Il primo capitolo del suo libro verte sugli sviluppi storici della Repubblica Islamica d’Iran negli ultimi anni, inquadrati perfettamente anche dal punto di vista della geopolitica internazionale. In particolare, come mai il Paese in questione ha deciso di dotarsi di un programma nucleare? In che contesto si è venuta a delineare questa scelta, e qual è stato il ruolo di Israele?
Il programma nucleare iraniano è risalente nel tempo, il primo approccio avvenne durante il regime dello Scià Pahlevi. La rivoluzione khomeinista, in qualche modo, lo bloccò, perché da un lato le potenze occidentali che avevano (ed hanno, per la verità) il monopolio delle tecnologie nucleari, interruppero la collaborazione con la nuova dirigenza iraniana, ma anche perché lo stesso Imam Khomeini era piuttosto scettico sullo sviluppo di un programma atomico, anche per motivazioni etiche e spirituali. Inutile dire che lo scetticismo era per un programma civile, dato che per quel che riguarda lo sviluppo militare, la contrarietà è sempre stata netta e assoluta, e le successive dirigenze del paese hanno sempre confermato questa impostazione, che è, sottolineiamolo, radicata profondamente anche dal punto di vista religioso.
Dagli anni ’90 è cambiato lo scenario, soprattutto economico. L’economia iraniana si fonda soprattutto sull’esportazione di idrocarburi (petrolio e gas), l’Iran è una sorta di “forziere” mondiale di queste ricchezze. Al tempo stesso la nazione ha visto un forte sviluppo industriale, che è però sbilanciato. Un esempio vale a chiarire: nonostante sia ricco di petrolio, l’Iran importa la benzina perché non ha una adeguata industria di raffinazione. Insomma, diventa strategico avere, dal punto di vista energetico, una autosufficienza nazionale che sia diversificata rispetto agli idrocarburi. Nel momento che il fabbisogno energetico fosse soddisfatto, a livello interno, da fonti alternative, tutto il gas e petrolio potrebbe essere esportato con grande vantaggio per il sistema paese: surplus commerciale, indipendenza, sviluppo industriale. Ecco che il programma nucleare civile è parso come il metodo più rapido e sicuro per ottenere questi scopi.
Un altro obiettivo che si persegue è quello di rompere il monopolio occidentale, e di Israele, sulla tecnologia nucleare. Se l’Iran riuscirà, come sta riuscendo a fare, nel pieno rispetto dei Trattati internazionali in materia, a padroneggiare l’ “intero ciclo” della produzione nucleare, potrebbe diventare a sua volta fornitore di questa tecnologia ad altri paesi in via di sviluppo e diventare in qualche modo un paese di riferimento, leader, del cosiddetto Terzo mondo. A maggior ragione in Medio Oriente. In questo senso lo “scontro” con Israele, ma anche con le monarchie sunnite del Golfo, appare inevitabile.
In uno scenario come quello mediorientale, gli interessi di potenze economiche e militari quali Stati Uniti d’America, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese entrano necessariamente in conflitto. E’ evidente come Washington ed i suoi alleati in Europa ripongano un interesse particolare nella destabilizzazione interna di Tehran, attuabile mediante ampie sanzioni economiche. Quali sono invece le posizioni di Mosca e Pechino, e per quale motivo invece esse difendono il regime degli Ayatollah?
La Persia è sempre stata, geopoliticamente, una area perno del Vicino Oriente e dell’Asia centrale. I rapporti con la Russia, storicamente, non sono idilliaci, perché si sono svolti molto spesso su un piano di competizione. L’Iran dello Scià, ad esempio, era perfetto per il contenimento dell’Unione Sovietica verso sud, tanto che negli anni ’60-’70 l’Iran era il “gendarme” degli Stati Uniti nel Golfo. La rivoluzione khomeinista ha portato l’Iran su una posizione maggiormente di equilibrio, dando teoricamente a questa nazione la prospettiva, almeno teorica, di poter perseguire una propria visione e strategia nazionale indipendente. In questa fase la Russia vorrebbe un Iran stabile ma non forte, non almeno così forte da tornare ad essere un concorrente piuttosto che un possibile partner su cui esercitare il controllo. Del resto se l’Iran dovesse tornare completamente sotto l’influenza occidentale, questo creerebbe per la Russia il rischio di forti destabilizzazioni soprattutto nell’area del Caspio e delle Repubbliche centroasiatiche. Non mi stupirei, quindi, a causa di questa ambivalenza, se in caso di crisi bellica contro l’Iran la Russia rimanesse, nella sostanza, se non nella forma, inerme e magari cercasse di sfruttare diversamente, su altre aree, questa sua posizione attendista.
Per Pechino la posizione è più chiara: l’Iran è un alleato strategico, è la chiave per l’accesso alle ricchezze energetiche dell’Asia centrale da cui lo sviluppo cinese non può prescindere. È per questo che l’Iran è geopoliticamente fondamentale: chi controlla l’Iran controlla la Cina. Purtroppo Pechino non ha, allo stato attuale, alcun mezzo per fermare una ipotetica guerra contro l’Iran, a meno di mettersi a rischio di una guerra globale. Quindi, alla fine, in caso di crisi anche Pechino credo che finirà per abbozzare, magari sperando, molto confucianamente, di veder passare il cadavere del proprio nemico sul fiume…
Circa l’argomento sopracitato, i vicini di Tehran appaiono molto divisi. Uno strenuo alleato strategico dell’Iran è rappresentato dalla Siria, mentre le monarchie del Golfo sembrano pendere dalla parte di Israele e del loro alleato storico, gli Stati Uniti d’America. Inoltre, nel terzo capitolo del suo libro, cita apertamente un “asse arabo-sionista”. Può dirci di più?
Le monarchie del Golfo sono apertamente minacciate dall’ascesa dell’Iran quale potenza regionale. Ben inteso, non perché l’Iran abbia una volontà egemonica aggressiva, ma perché le aristocrazie del Golfo sono, questa è la mia opinione, dei regimi parassitari e plutocratici che verrebbero spazzati via dall’energia di una nazione, come l’Iran, con una forte e coerente fisionomia economica, politica, diplomatica, spirituale. La contrapposizione, nel mondo islamico, tra sunnismo e sciismo è, secondo me, una delle leve di questo “cambiamento di fase” nel mondo islamico che abbiamo visto materializzarsi con la Primavera araba. Forze collegate più o meno strettamente con le monarchie del Golfo stanno prendendo il potere (o l’hanno già preso) in Tunisia, Libia, Egitto, Yemen, e si stanno contrapponendo in Siria, Iraq, Libano. Molto significativa la svolta, proprio di questi giorni, di Hamas che ha “tradito” lo storico alleato e protettore, la Siria di Assad, per porsi sotto il cappello del Qatar e della Giordania. In questa fase, dunque, il nemico principale delle monarchie sunnite è l’Iran e lo sciismo politico. L’alleanza tattica con Israele per fare fronte contro il nemico comune appare una conseguenza naturale. Si tratta a mio avviso di un errore epocale che l’Islam penso pagherà straordinariamente, forse un errore che non sarà più storicamente e politicamente recuperabile.
Il Presidente della Repubblica Islamica d’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, venne eletto per il primo mandato nel 2005. Da allora, in che misura è cambiata l’amministrazione iraniana? Come mai, per Israele e gli Stati Uniti, è stato fin troppo facile additare Ahmadinejad come una sorta di “nemico pubblico numero uno”? Cosa ne pensa della rielezione di Ahmadinejad, avvenuta del 2009, e delle consequenziali “proteste” a Tehran?
Ahmadinejad ha rappresentato un vero cambiamento per la Repubblica islamica. Basti pensare che negli ultimi venti anni i presidenti che si erano succeduti alla guida del paese erano degli esponenti del clero mentre Ahmadinejad è un laico. Questo non ha tanto un impatto dal punto di vista religioso (Ahmadinejad è religiosissimo) ma da quello politico certamente sì. Tanto più perché l’attuale presidente è il rappresentante di una area politica e sociale che mai in precedenza aveva avuto la guida della Repubblica: Ahmadinejad rappresenta la “generazione del fronte” che ha combattuto la guerra contro l’Iraq negli anni ’80, e rappresenta le fasce popolari e dell’Iran più profondo. Soprattutto durante il suo secondo mandato, Ahmadinejad ed il suo entourage stanno tentando una modernizzazione della politica iraniana, cercando di spingere la nazione, come par di capire, verso un modello islamico presidenzialista, più che teocratico. Come si può immaginare, sarebbe un terremoto per gli equilibri di potere interni. Ma, in questo senso, Ahmadinejad rappresenta anche un incubo per gli ideologi del “nuovo ordine mondiale”. Pensate ad un paese fondamentale come l’Iran guidato da una dirigenza laica, indipendente, nazionalista e popolare…
Poi, sul fatto che questa possibilità, sicuramente molto suggestiva per chi auspica un pianeta multipolare e più equo, si coniughi anche con una capacità politica interna, non mi esprimo. Dovrei essere iraniano e vivere in Iran per dire se Ahmadinejad sia stato un buon presidente per il suo popolo. I primi di marzo si svolgeranno le elezioni legislative in Iran, con i candidati dell’area del presidente che sfideranno quelli dell’area conservatrice tradizionale. Sono molto curioso di vedere i risultati.
Per quanto riguarda la rielezione del 2009, coi dati a disposizione, ho maturato la personale convinzione che il risultato sia stato legittimo. Non so se ci possono essere state delle irregolarità nel voto, ma ritengo che la maggioranza del popolo iraniano abbia effettivamente votato per Ahmadinejad. Le successive proteste sono state innescate da tensioni e dinamiche interne alla società iraniana, tensioni che erano giunte ad un punto di rottura. Ahmadinejad è certamente un catalizzatore, generalmente non lascia indifferenti, o lo si ama o lo si odia. Che poi su queste dinamiche interne si siano inserite anche manovre di destabilizzazione dall’esterno, lo ritengo molto probabile.
Il suo libro è intitolato “Iran 2012”. Oltre alle doverose parentesi sul passato storico della Repubblica Islamica d’Iran, sarebbe importante anche azzardare delle ipotesi sul futuro di quest’ultima. Come giudica la recente crisi diplomatica scoppiata in seno al Parlamento iraniano, la quale ha visto contrapporsi da una parte lo schieramento teocratico degli Ayatollah, e dall’altra quello relativamente laico e nazionalista di Ahmadinejad? Alla luce delle continue minacce di guerra preventiva di Tel Aviv a Tehran e degli oramai diffusissimi attentati terroristici compiuti da agenti del Mossad contro ingegneri nucleari iraniani, come crede che si svilupperà la situazione nel nuovo anno?
Per quanto riguarda le tensioni politiche interne al paese rimando al quadro che ho tracciato sopra. I centri del potere tradizionale iraniano stanno reagendo con forza al nuovo corso impresso da Ahmadinejad. Vedremo quali saranno gli esiti. Certamente questo è il momento peggiore per la dirigenza politica della nazione per dividersi. Divisione che riguarda sia il campo “conservatore” all’interno, ma anche con il campo “riformista”, i cui principali leader, candidati alle elezioni presidenziali del 2009, sono stati posti in una sorta di condizione di detenzione e controllo, con l’accusa di aver fomentato i disordini politici e attentato quindi alla sicurezza della nazione. Probabilmente, in caso di aggressione militare, il paese si ricompatterà, ma successivamente temo che tornerà a spaccarsi.
Difficile fare previsioni, ma voglio provare a tracciare un quadro sommario.
Se scoppierà la guerra, mi aspetto per l’Iran uno scenario assimilabile a quello che fu la prima guerra del Golfo. Bombardamenti mirati a colpire in profondità le infrastrutture del paese e per disarticolare soprattutto il corpo militare dei Guardiani della Rivoluzione. Non necessariamente i combattimenti potrebbero essere lunghi, dipenderà da quanto l’Iran vorrà resistere e rispondere con rappresaglie. Fossi nella dirigenza iraniana punterei a minimizzare il più possibile il conflitto, addirittura rispondendo agli attacchi con una condizione sostanziale di non belligeranza, ma temo che non sarà così. Successivamente mi aspetto un embargo economico militare molto stretto che cinturi il paese e lo strangoli (anche per lungo tempo) finché il sistema non imploda, magari sostenendo dall’esterno un ribaltamento interno del regime.
L’attacco potrebbe anche essere innescato solo da Israele, ma, in caso di reazione iraniana, gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali sarebbero coinvolte.
È pure vero che da anni si parla di una guerra contro l’Iran e finora tale scenario non si è mai verificato. Umanamente mi affido alla speranza, da analista non sono molto ottimista per il prossimo futuro.

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